ORTOBALENO E LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA

Il metodo che è stato utilizzato per costituire il primo orto collettivo mantovano ha seguito la strada della progettazione partecipata. Una volta identificato il luogo e le sue caratteristiche, nell’ambito degli incontri dell’Università degli Orti sono stati invitati tutti gli interessati al progetto per mettere in comune le proprie idee di “orto collettivo”. Si sono convocate quindi riunioni in cui prendere visione delle mappe, vedere le fotografie del luogo, effettuare sopralluoghi, distribuire carte in scala dove ognuno poteva disegnare le sue idee al riguardo.

Molta della discussione è servita per la stesura del documento che è poi diventato il Codice Comune. Una parte significativa dei confronti ha riguardato l’aspetto che si voleva dare a questa struttura. Le condizioni che bisognava valutare andavano dall’efficienza dei servizi di irrigazione (e quali), la razionalizzazione dello spazio complessivo, la “viabilità” interna, ma anche la possibilità di interazione tra i soggetti impegnati nelle attività e non ultimo l’aspetto estetico e la caratterizzazione dell’intervento. Un partecipante ha portato all’attenzione di tutti l’idea di dare una forma circolare a più raggruppamenti di orti (lo spazio a disposizione era una biolca mantovana distribuita su un rettangolo di circa 100×30 metri). Il motivo addotto riguardava una maggior sensazione di “vicinanza” tra gli orticoltori e di “condivisione”. Nell’analisi che è seguita altri hanno notato che anche dal punto di vista strutturale la forma suggerita permetteva notevoli miglioramenti. Nella distribuzione dell’acqua, per esempio, una direttrice che attraversasse i quattro cerchi avrebbe permesso di localizzare al centro di ognuno di essi una colonnina con i rubinetti, in modo da permettere di agganciare una canna di soli 15 metri per arrivare all’estremità di ogni settore senza il rischio di calpestare gli orti degli altri.

Sicuramente il fatto che non fosse stato proposto un progetto già definito ha portato ad un livello di entusiasmo e di compartecipazione che a poi permesso di passare dalla teoria alla pratica riuscendo a svolgere molti lavori anche complessi di preparazione dell’area e di costruzione delle strutture e degli arredi che sarebbe stato difficile prevedere.

Certo, il disegno degli orti circolari ha generato grandi spazi “comuni” non utilizzati dalle colture, ma anche questo è stato valutato in modo positivo proprio sulla spinta di un sentimento collettivo che ha permesso di localizzare gli spazi per il compostaggio, le future arnie e, ovviamente l’area di “riposo” e socializzazione.